Ieri alle 20:00 è stato arrestato all’aeroporto di Le Bourget, nei pressi di Parigi, il fondatore di Telegram Pavel Durov, imprenditore russo con cittadinanza nevisiana, francese ed emiratina.
Stava facendo scalo col proprio jet privato.
I reati di cui è accusato sono gravissimi, tali da fargli rischiare 20 anni di carcere: complicità nel traffico di droga, terrorismo, crimini pedopornografici e frodi che avvengono sulla piattaforma, a causa della “mancanza di moderazione, della scarsa cooperazione con le forze dell’ordine e degli strumenti offerti da Telegram”.
Il mandato di arresto è stato emesso dalla magistratura francese dopo che numerose denunce erano state presentate da diverse associazioni che difendono cittadini e parenti di cittadini che affermano di aver subito crimini commessi tramite Telegram.
Durov era già assurto agli onori della cronaca nel 2013, quando si scontrò con il Cremlino per aver rifiutato di fornire al Servizio di sicurezza federale russo (FSB) i dati sugli utenti ucraini della piattaforma VK (un social network da lui fondato ed estremamente popolare nei Paesi russofoni) che avevano preso parte a manifestazioni contro l’allora presidente filorusso al potere a Kiev, Viktor Yanukovych (motivo per cui fu licenziato dalla sua stessa azienda), e nel 2018, quando il governo russo cercò di bloccare Telegram, dopo che Durov si rifiutò di consegnare le chiavi di crittografia all’intelligence russa (il blocco fu poi rimosso nel 2020 vista la palese inefficacia).
Con ogni probabilità con l’arresto di ieri ci troviamo di fronte ad una delle prime applicazioni del Digital Services Act, il regolamento censorio europeo, approvato nel 2022 ed entrato in vigore nel febbraio di quest’anno.
Del resto sono di pochi giorni fa le minacce, niente affatto velate, del commissario europeo Thierry Breton a Ellon Musk, colpevole anche in quel caso di potenziale complicità con reati vari e con l’esercizio “della violenza dell’odio e del razzismo” per avere maglie troppo larghe nella “moderazione” dei contenuti su X.
Eppure l’articolo 19 della Dichiarazione dei Diritti Dell’Uomo recita “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”, mentre quello 21 della Costituzione Italiana “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”
E’ sempre più chiaro che nell’Occidente (si vedano i recenti episodi in Inghilterra) il controllo dei mezzi di informazione si stia facendo sempre più capillare e rigoroso, con un’informazione ormai trasformata in pura propaganda, dove si usa il pugno con chi dissente.
La colpa gravissima di Durov è di aver messo a disposizione del pubblico un Social internazionale che non prevede censura e libero nei contenuti.
Chi oggi detiene il potere autodefinendosi “democratico” ripudia il pluralismo e corre verso la riduzione della democrazia a regime in cui è permessa una sola opzione, quella del Pensiero Unico imposto da chi esercita il potere.
La versione aggiornata della propaganda delle dittature novecentesche.
La novità è la trasformazione della dialettica politica in ricostruzione edificante ed emotiva di ogni questione, proposta da un coro di media, agenzie, istituzioni, coordinate da una regia comune.
Se un mezzo di informazione, un intellettuale, un artista si pone in contrapposizione al coro, scatta la richiesta della censura, indignata, rabbiosa.
Per chi non si adegua ci sono l’esclusione, la demonizzazione, la criminalizzazione, la psichiatrizzazione ( il “discorso di odio”).
E se non basta ancora la detenzione.
Sempre con la scusa di “proteggere” i diritti dei fragili e degli indifesi.
A riguardo il giornalista Tucker Carlson, famoso per aver intervistato Putin:
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