
PREMESSA
Viviamo in un periodo storico nel quale cambiamenti di enorme portata avvengono sotto i nostri occhi a una velocità mai sperimentata dalla specie umana. Nel mondo impropriamente definito occidentale tutte le certezze, tutti i valori e convincimenti che sostenevano la civiltà sembrano crollare sotto i colpi di un rullo compressore alimentato da un potere concentrato sempre più in pochissime mani. E’ il complesso della grande finanza che letteralmente possiede tutto, riconfigurando il mondo e la specie umana ai propri interessi.
Tutto ciò sta portando alla progressiva erosione delle libertà concrete della popolazione, allo smantellamento della democrazia rappresentativa (invasa dal potere del denaro di attori estranei al gioco politico e costretta alla perdita di diritti sociali costati secoli di lotte), alla fine degli Stati nazionali destituiti di sovranità e funzioni a favore di grandi organismi transnazionali controllati e manipolati da una elite di potere privato, alla nascita di un nuovo, insidioso totalitarismo mascherato in cui i singoli, le comunità, i popoli, le correnti culturali perdono ogni giorno la loro essenza. Mai come oggi così pochi soggetti – persone fisiche, entità finanziarie, giganti della tecnologia, imprese e fondi multinazionali – possiedono un potere tanto grande. Detenendo l’insieme dei mezzi ne determinano tutti i fini.
In uno scenario tanto complesso, hanno perso significato vecchie distinzioni e contrapposizioni, figlie di passate stagioni storiche, politiche, valoriali. Destra e sinistra non riescono più a rappresentare la maggioranza dei cittadini, e mettendosi in competizione con principi e interessi marginali, dimostrano di essere due espressioni complementari dello stesso pensiero globalista, liberista in economia, libertario nei costumi, volto alla costruzione di un agognato governo mondiale oligarchico pronto a calpestare popoli e individui. Perfino la dialettica conservatori-progressisti ha perduto valore.
L’alto contro il basso, il centro contro la periferia, divengono le attuali linee di contrapposizione di principi, valori, interessi.
Un’altra frattura – specie dal 2020 – è quella tra obbedienti e disobbedienti, integrati e dissidenti rispetto alle parole d’ordine del sistema globalista.
Sistema globalista il cui pensiero unico non ammette dissenso, sempre pronto a ricorrere alle armi ed alla guerra – diretta o per procura – come soluzione per mantenere i privilegi delle élites tecno-finanziarie, ed incapace di riconoscere le istanze di indipendenza di quei Paesi che attraverso il multilateralismo e l’equo scambio intendono sottrarsi alla predazione di stampo neo-coloniale perpetrata dall’Occidente negli anni soprattutto attraverso i ricatti della troika Banca Mondiale/Fondo Monetario Internazionale/Organizzazione Mondiale del Commercio.
Il quadro – assai grave per i popoli e l’essere umano – impone di prendere posizione, di schierarsi, e scegliere da che parte stare.
La nostra scelta è a favore dell’autodeterminazione dei popoli, delle nazioni, delle comunità e degli individui, contro il neo totalitarismo che si sta stringendo attorno a noi come una gabbia. A favore della pace sempre e comunque, e della via diplomatica come soluzione di ogni conflitto.
Riconosciuto ciò, tuttavia, non si è fatto che il primo passo. Gli esseri umani hanno bisogno di valori positivi, progetti, sogni, ideali e speranze, che la volontà, la costanza, l’onestà, l’insieme di qualità, di virtù e l’impegno dei molti sappiano trasformare in realtà. Ci è chiaro ciò che non vogliamo, abbiamo riconosciuto l’avversario. Siamo per il “basso” contro “l’alto”, la “periferia” che muove contro il “centro”- il potere reticolare che ci avvolge – siamo disobbedienti, dissidenti.
“Odio gli indifferenti” scrisse Antonio Gramsci, ed è la riconquista delle coscienze contro l’indifferenza di massa – costruita dai terminali dal potere e ad esso funzionale – il compito più arduo che ci aspetta. La giusta protesta, la dissidenza – etica e civile oltreché politica – deve diventare proposta, quindi progetto e speranza. Si rende quindi necessario indicare alcuni punti fermi, le priorità e il minimo comune denominatore di una comunità che abbia l’obiettivo di aprirsi alle esperienze e all’entusiasmo di uomini e donne che intraprendano un cammino nuovo.
Proponiamo quindi una concreta linea d’azione fondata su cinque punti.
CINQUE PUNTI
1. Poiché viviamo e agiamo in Italia, occorre innanzitutto attuare in maniera completa la costituzione del 1948.
2. La costituzione ha assegnato allo Stato Italiano il compito di tutelare e garantire le libertà individuali dei suoi cittadini. Quel compito va rivendicato e concretizzato.
3. I servizi pubblici devono essere garantiti e di qualità rispondente ai migliori standard del nostro tempo, su tutto il territorio della Nazione senza differenze territoriali.
4. Lo Stato deve promuovere un’organizzazione economica in cui l’iniziativa privata e il mercato siano liberi da speculazioni e tesi al benessere dei cittadini.
5. La libertà è di tutti e per tutti. No al potere di pochi.
CHE COSA SIGNIFICA?
I concetti sopra indicati hanno portata generale, ma diventano programma concreto solo se li riempiamo di contenuti.
1. La Costituzione italiana non è un feticcio; fu il risultato del compromesso al più alto livello tra le culture politiche del suo tempo. Resta tuttavia il documento fondamentale che dovrebbe orientare la vita della nazione. Non è così nei fatti. Per un verso, la cosiddetta “costituzione materiale”, ossia la prassi, ne ha alterato spirito e sostanza. Soprattutto, l’adesione acritica a trattati e organizzazioni internazionali ne ha stravolto l’impianto, la lettera, affievolito l’efficacia come strumento guida delle relazioni civili del popolo italiano.
Ad esempio, nel campo dei rapporti economici e sociali, la Carta è solidarista, in accordo con le culture socialiste, cristiano-sociali e “nazionali” largamente predominanti quando fu redatta. Al contrario, l’Unione Europea, le prescrizioni (o diktat) di organizzazioni come WTO, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, l’acquis della Comunità Europea e ora dell’UE impongono un predominio del settore privato che la Costituzione – e il comune sentire – non prevede e non vuole.
Negli ultimi anni, l’articolo 21 – che garantisce la libertà di parola – è stato sempre più calpestato.
L’articolo 11 è stato demolito, tanto nella parte in cui “l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali” quanto nella rivendicazione della sovranità, conferita ad organismi transnazionali in spregio del dettato costituzionale. Oltre l’80% delle norme che osserviamo proviene da regolamenti dell’UE, promulgati da un organo non elettivo, la Commissione UE.
Altre espropriazioni di sovranità giungono da organismi internazionali e soprattutto dalla rinuncia all’emissione monetaria, trasferita a una banca privata – la BCE – di cui la Banca d’Italia (a sua volta privata e con una compagine azionaria dominata da istituti di credito non più a maggioranza italiana) è socio di infima minoranza. La conseguenza è la truffa del debito pubblico, l’impossibilità di politiche monetarie proprie (ad esempio espansive o neo keynesiane) e, più in generale, la dipendenza da decisioni da cui sono esclusi i cittadini e il parlamento nazionale, mentre il governo non è che un mero esecutore di decisioni estranee.
Tutto ciò è permesso da una serie di sentenze che hanno espropriato la Costituzione del suo carattere di fonte giuridica di più alto livello a favore del diritto dell’UE, togliendo allo Stato prerogative e ai cittadini protezione e certezza del diritto. Attuare la costituzione significa restituirle centralità. Nessuna norma esterna deve entrare nell’ordinamento se non è conforme alla Carta, prendendo ad esempio la Germania, in cui la Corte Costituzionale ha poteri di controllo sulle norme giuridiche “esterne”.
2. Quanto detto al punto 1 significa che lo Stato ha il dovere di proteggere i cittadini, difendere e promuovere la libertà concreta (di parola, pensiero, associazione, lavoro). Deve impegnarsi a lottare contro discriminazioni e ingiustizie, oltreché a combattere le numerose dipendenze alimentate dal potere economico e finanziario (gioco, droghe, farmaci, alcool eccetera), autentiche piaghe nazionali. Difendere la popolazione significa altresì garantire l’ordine civile perseguendo i reati contro il patrimonio e la persona e lottando contro le mafie. La sicurezza, tuttavia, non può essere ottenuta attraverso la sorveglianza occhiuta con telecamere e controlli (anche per via informatica) o per mezzo dell’abuso della detenzione.
3. Erogare – o garantire – servizi pubblici significa che la dimensione del pubblico interesse deve prevalere sugli interessi settoriali e sui potentati privati. Va individuato un perimetro di “beni comuni” da sottrarre al mercato, che non deve essere “misura di tutte le cose”. L’acqua non dovrà mai diventare oggetto di speculazione privata. Altri beni comuni sono il cibo – di qui la difesa dell’agricoltura e dell’alimentazione naturale (no OGM, no cibo artificiale) la sanità, l’istruzione. Il settore privato non può sostituire la mano pubblica nella salute della gente; l’istruzione – di qualità, selettiva e non basata sul censo – deve avere lo Stato come garante e gestore di scuole pubbliche rispettando il diritto dei genitori a fornire ai figli un’istruzione proposta anche da soggetti privati. Beni comuni sono l’ambiente, il territorio, l’aria, così come le infrastrutture (strade, ferrovie) indispensabili per il lavoro e la mobilità. Beni comuni di immensa importanza sono oggi anche le reti di telecomunicazione e le infrastrutture per la produzione di energia, che non possono essere lasciate in mano al mercato della speculazione e dei profitti.
L’equilibrio tra esigenze e interessi contrastanti è difficile da conseguire: per questo è fondamentale il ruolo di arbitraggio e di decisore di ultima istanza dello Stato.
4. Un’economia non orientata all’interesse di pochi è possibile se al mercato – che oggi è il conglomerato dei grandi interessi oligarchici – vengono posti limiti e paletti. Quelli dei beni comuni, sottratti alla prevalenza dei grandi gruppi, ma anche quelli del controllo pubblico sui gruppi finanziari, sui giganti della tecnologia, del commercio internazionale, della grande distribuzione.
Tali giganti stanno cacciando fuori dal mercato i piccoli e i medi operatori mettendoci di fronte a un oligopolio – Ivan Illich lo chiamava “monopolio radicale” – contrario all’interesse generale – che nega nei fatti la libera iniziativa diffusa e la stessa concorrenza, enfatizzata come feticcio indiscutibile.
Sono questi grandi conglomerati economici e finanziari i grandi evasori (o elusori) fiscali. Il loro carattere transnazionale, la loro costruzione burocratica societaria ed amministrativa li rende irraggiungibili, quasi invisibili e nel contempo de-territorializzati, al fine di non pagare le imposte da nessuna parte. Eppure l’UE non riesce ad accordarsi neanche su una tassazione del 5 (cinque!) per cento a carico dei principali gruppi, specie tecnologici. Un fisco giusto sposta il peso della tassazione dalle persone fisiche e dalle imprese medio-piccole ai giganti. Per questo ci vuole più Stato e politiche fiscali concordate a livello europeo. Il benessere concreto dei cittadini ha bisogno anche di questi passaggi difficili, duri da realizzare a causa dell’opposizione di poteri fortissimi, ma per i quali non esiste alternativa.
5. Il punto cinque (Libertà dal potere di pochi) riassume un’intera politica. Il principio-libertà è il centro dell’intero programma. Libertà “di” e libertà “per”, ovvero una società nella quale la comunità e i singoli mantengono il diritto di pensiero, parola, associazione, informazione, garantito dall’art. 21 della Carta ma sempre più negato nei fatti. Libertà significa altresì non costrizione, ad esempio nell’ambito delle politiche sanitarie. L’opposizione all’attribuzione di poteri diretti all’OMS (pietra miliare di un governo mondiale) è totale, specie perché si tratta di un ‘organizzazione controllata da potentati privati (Bill Gates su tutti).
Libertà è anche la possibilità concreta di dire no ai poteri finanziari, alle politiche economiche antipopolari imposte dall’alto, nonché il diritto di cambiare gli indirizzi politici, economici, finanziari, attraverso il voto. Attualmente, i principali schieramenti sono semplici esecutori, ventriloqui dei poteri che abbiamo citato; le loro differenze programmatiche sfumano una volta al governo e risultano correnti interne del blocco unico liberal-globalista legato a Washington. Anche le alleanze internazionali vanno riviste, sottoposte alla valutazione popolare, in particolare la NATO, trasformata in una macchina bellica al servizio di interessi che non ci appartengono e di cui non veniamo messi a conoscenza.
Libertà è la possibilità di non essere costretti a prendere parte direttamente od indirettamente a guerre e conflitti per sudditanza ad organismi che mai agiscono nell’interesse dei popoli.
Libertà, infine, è la possibilità – se i cittadini lo vorranno- di costruire programmi ideali, politici, sistemi di valori alternativi a quelli dominanti, capaci di diventare linee politiche e programmatiche di governo senza interferenze e vincoli esterni. Senza dovere per forza sottostare agli scenari tratteggiati ed ai diktat imposti da gruppi quali il Forum di Davos (un gruppo privato oligarchico che si arroga poteri di indirizzo sul mondo e i governi).
CONCLUSIONE
Il presente documento, aperto a modifiche e integrazioni, ha l’unica ambizione di disegnare una cornice ideale e politica generale, un contributo iniziale offerto all’attenzione del variegato mondo “antagonista”, nella prospettiva del superamento delle divisioni che sinora hanno impedito la formazione di un fronte (che per natura è un’alleanza tra diversi) in grado di porsi prima come spina nel fianco del sistema, quindi come punto di riferimento per milioni di persone di ogni orientamento ed estrazione, infine come alternativa credibile al dominio delle forze dominanti, ormai apertamente al servizio non del nostro popolo, ma di poteri economici, finanziari, geopolitici che ci derubano della libertà, della sovranità, della stessa democrazia ridotta a simulacro o procedura.