Nel silenzio pressoché assoluto dei media uno dei maggiori sindacati italiani, la CISL, ha sostenuto con successo  una campagna di raccolte firme per la sua proposta di legge popolare sulla Partecipazione al Lavoro, depositando presso la Camera dei Deputati alla fine di novembre oltre 200 scatoloni con quasi 400mila firme dei sottoscrittori. 

La proposta di legge è attualmente al vaglio dell’Assemblea parlamentare, dopo il passaggio alle Commissioni VI e XI che hanno prodotto alcuni emendamenti al testo base. 

Il testo in esame, a seguito delle modifiche apportate, si compone di 15 articoli.

La proposta di legge sulla Partecipazione al Lavoro prevede, come da titolo, la partecipazione dei lavoratori alla gestione, all’organizzazione, ai profitti e ai risultati, nonché alla proprietà delle aziende. 

La novità principale introdotta da questa proposta di legge è infatti  la facoltà di partecipazione di una rappresentanza dei lavoratori al consiglio d’amministrazione per le aziende che adottano il sistema monistico e al consiglio di sorveglianza per le aziende che adottano il sistema dualistico, in osservanza di quanto disposto dall’art. 46 della Costituzione: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.”

La legge prevede anche forme di partecipazione dei lavoratori dipendenti al capitale della società, nel rispetto dei disposti del Codice Civile,  e la possibilità per le aziende di promuovere l’istituzione di commissioni paritetiche con la finalità di predisporre proposte di piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell’organizzazione del lavoro.

Nel nuovo assetto previsto dalla legge ci sarà anche un coinvolgimento diretto del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, il quale dovrà istituire la Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori, con funzioni interpretative e di indirizzo sull’attuazione della partecipazione dei lavoratori alle aziende, proponendo altresì agli organismi paritetici eventuali misure correttive in caso di violazione di norme procedurali relative alla partecipazione dei lavoratori.

Se la legge dovesse passare indenne il percorso di discussione parlamentare introdurrebbe delle innovazioni molto significative all’assetto dell’apparato produttivo nazionale. 

 

Il già citato articolo 46 – uno dei tanti articoli della Carta rimasti  finora lettera morta – è come detto alla base della proposta di legge firmata dalla CISL. 

Come nasce questo misconosciuto articolo, così importante però per le sue ricadute pratiche una volta applicato?

Come ricorda Francesco Carlesi, docente di Storia contemporanea presso Unidolomiti, il percorso che porta all’idea della partecipazione – e infine all’art. 46 – è lungo e complesso. 

Giuseppe Mazzini, in pieno Ottocento, fu tra i primi intellettuali italiani a porsi il problema della soluzione del conflitto capitale-lavoro, declinata con l’idea dell’azionariato operaio e con la creazione di Consigli Conciliativi tra capitale e lavoro, in nome della collaborazione nazionale. 

Nel 1920, la peculiare esperienza dello Stato Libero di Fiume guidato da D’Annunzio portò all’elaborazione della Carta del Carnaro, che prevedeva forme partecipative secondo le idee del sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, autore del testo originale poi “liricizzato” dal poeta abruzzese.  

Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento si diffuse la della dottrina sociale della Chiesa, all’interno della quale nacquero le teorie corporative che trovarono una loro parziale attuazione – stravolta però in senso totalitario – nel regime fascista, soprattutto negli anni ‘30 del Novecento.

Nel secondo dopoguerra emersero,  in questo percorso di pensiero, figure spesso poco considerate, ma di particolare rilievo: Adriano Olivetti con la sua volontà di coniugare – scrive Carlesi – “valorizzazione di territorio, cultura, lavoro e innovazione”; Charles De Gaulle, assertore, nel 1968, di un vasto progetto di riforma sociale, il quale prevedeva la creazione di una Camera delle categorie e l’attuazione della cogestione in ambito aziendale e, ultimo ma non per importanza, Amintore Fanfani, già studioso del corporativismo, impegnato sui crinali del solidarismo in sede di dibattito costituente, che, ancora negli Anni ’70, rilanciò in “Capitalismo, Socialità, Partecipazione” i temi della partecipazione e del superamento di capitalismo e comunismo.

Fanfani, eletto nell’Assemblea costituente, lavorò nella terza sottocommissione, dedicata ai principi economico-sociali. Vi ebbe un ruolo abbastanza importante: si riconduce alla sua mano – dopo una discussione tra Palmiro Togliatti, Aldo Moro e Giuseppe Dossetti – l’emendamento al primo articolo che fissava il concetto di una «repubblica democratica fondata sul lavoro».

Come si può notare anche da questa breve e sintetica trattazione, l’idea partecipativa rilanciata oggi dalla proposta di legge della CISL ha radici molto profonde. 

In un mondo nel quale il lavoro viene liquefatto dalla prepotenza del grande capitale, organizzato in oligarchie sempre più distanti dalle esigenze della comunità, il richiamo al principio della partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende, specie se corroborato anche da altri provvedimenti in grado di “solidificare” i diritti dei lavoratori, può apportare un cambio di passo particolarmente significativo rispetto alla nefasta tendenza generale.

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