UNA LUNGHISSIMA STORIA.
Partiamo intanto da un principio di base: la destra come etichetta politica nasce concettualmente a seguito della Rivoluzione Francese, quando nel maggio 1789, riunitisi gli Stati generali, i membri del Terzo stato si divisero nell’emiciclo.
I conservatori si accomodarono a destra, i radicali e i rivoluzionari a sinistra. Questa suddivisione è arrivata sostanzialmente intatta fino ai giorni nostri.
Prima di allora troviamo già attivo nel Regno Unito il Partito Tory che nasce nel lontano 1678 – più di cent’anni prima della Rivoluzione Francese – come espressione di quelle realtà dell’alta società inglese che osteggiavano un eccessivo potere del Parlamento rispetto al Re, erano contrarie alla tolleranza nei confronti delle confessioni religiose minoritarie ed erano favorevoli alla politica espansionistica coloniale. A seguito di alcune peripezie storiche si giunse infine alla nascita del Partito Conservatore nel 1834 – esistente ancora oggi – il quale rifletteva gli stessi valori sostanziali del suo predecessore.
Con la diffusione del parlamentarismo, del capitalismo e della società borghese in Europa e in Nord America l’identificazione delle forze di destra con la difesa dello status quo politico ed economico, in opposizione alle forze di “rottura” (socialiste e radicali), quindi con le idee del conservatorismo, divenne sempre più marcata.
In Italia dopo l’unità (1861) si formarono i raggruppamenti politici della Destra e della Sinistra (in seguito dette “storiche”), le quali si alternarono al potere in Parlamento per alcuni decenni, seguendo uno schema visto anche altrove in Occidente.
Nel nostro Paese tuttavia la piena affiliazione delle destre al campo dei conservatori è un fenomeno abbastanza recente, visto che quest’area politica – almeno a partire dallo shock indotto dalla “marcia su Roma” mussoliniana – si è sempre divisa in ambiti molto caratterizzanti e diversi tra loro, in modo anche netto e conflittuale (pensiamo alla prima repubblica con liberali, democristiani di destra, monarchici, fascisti).
LA DESTRA TRA NAZIONALISMO E LIBERALISMO.
Nella tripartizione ideologica del ‘900 proposta da Aleksander Dugin, di cui abbiamo parlato qui, a fianco del socialismo e del liberalismo compare il nazionalismo, che a livello storico pervade largamente il campo della destra al pari – e forse anche più – dello stesso liberismo. Il nazionalismo infiamma l’800 con la nascita degli Stati-nazione italiano e tedesco e ancor di più il ‘900 con le due guerre mondiali, che scoppiano almeno ufficialmente per delle rivendicazioni territoriali di tipo nazionalistico.
Sono figli del nazionalismo il fascismo e il nazionalsocialismo, anche se risulta difficile incasellare plasticamente a destra queste ideologie, che portano entrambe al loro interno una forte componente socialisteggiante lontana dai valori conservatori e borghesi tipici della destra otto-novecentesca, tanto che due tra i più accaniti avversari dei fascismi durante la Seconda guerra mondiale furono i conservatori Churchill e De Gaulle.
A partire dai tardi anni ‘70 del ‘900 vediamo imporsi in tutta Europa un conservatorismo sempre più appiattito sulla dottrina neoliberista, che rimette drasticamente in discussione tutta l’impalcatura di politiche sociali a protezione dei lavoratori emessa dagli Stati occidentali dopo le devastazioni del secondo conflitto mondiale.
I maggiori esponenti di questo conservatorismo neoliberale sono ancora una volta anglosassoni: Margaret Thatcher in Gran Bretagna e Ronald Reagan negli Stati Uniti, entrambi al potere nel corso degli anni ‘80.
Furono loro i primi a introdurre in maniera sistematica e massiccia in Occidente le ricette del neoliberismo all’interno del sistema (la rivoluzione dello “Stato minimo”), dopo i tragici esperimenti di applicazione degli stessi principi nelle feroci dittature militari sudamericane (Argentina e Cile) avvenuti nel decennio precedente.
L’ORDOLIBERISMO DI ANGELA MERKEL.
Con la caduta del Muro di Berlino e la fine del socialismo reale (almeno in Europa), cominciò un intenso periodo di espansione del neoliberismo attraverso le politiche intraprese da organismi internazionali come FMI, World Bank e Unione Europea. Il neoliberismo a partire da questa fase diventa il collante tra destra e sinistra, che da questo punto di vista – almeno nelle loro componenti mainstream – mostrano ben poche differenze; queste si manifestano primariamente in ambiti culturali e di approccio alla politica interna.
In un certo senso, con gli anni ‘90 e poi soprattutto con gli anni 2000 i liberal-conservatori tornarono a essere pienamente quelli di un secolo prima: in economia favorirono il liberismo, mentre a livello sociale promossero la conservazione di alcuni valori di base – i sempiterni “Dio patria e famiglia” – anche se spesso con poca convinzione di fronte all’aggressività crescente dell’ideologia di stampo woke.
In ambito europeo prese piede comunque un fenomeno distintivo, il cosiddetto ordoliberismo, caratteristico dapprima della Germania di Angela Merkel e poi, a cascata, di tutta l’Unione Europea.
Si tratta di una forma particolare di liberalismo in variante tedesca, a minore intensità individualista rispetto a quello anglosassone. Un liberalismo nel quale restano in ogni caso precluse allo Stato la produzione di beni o servizi, la redistribuzione della ricchezza o la stabilizzazione dell’economia. Lo Stato, nel sistema ordoliberista, ha il compito essenziale di stabilire regole giuridiche e amministrative e di farle rispettare.
La versione dell’ordoliberismo merkeliano è in qualche misura contaminata dal mercantilismo e dal neoliberismo, utilizzati strumentalmente allo scopo di favorire le esportazioni dell’industria tedesca.
Sul piano sociale l’azione politica della cancelliera ebbe ripercussioni non da poco: le ricette dell’ordoliberismo provocarono una compressione salariale a danno dei lavoratori dell’industria che ebbe (e ha tuttora) effetti devastanti su larghe fasce della popolazione tedesca, per tacere dei danni fatti all’estero, su economie fragili come quella greca a seguito della crisi finanziaria dei primi anni ‘10.
LA DESTRA “NO GLOBAL” E SECURITARIA: DA TRUMP A ORBAN.
L’ostilità alla globalizzazione da parte dei liberal-conservatori (o meglio di una loro parte) è un fenomeno abbastanza nuovo, che ha origine intorno agli anni ‘10 del nostro secolo.
Soprattutto a seguito della crisi finanziaria del 2008, vari ambienti di area conservatrice maturarono un giudizio molto critico nei confronti della globalizzazione nelle sue varie forme, sia istituzionali che culturali, economiche e politiche, pur senza mai mettere in discussione il cardine del sistema, ossia il capitalismo.
La riduzione di potere degli Stati nazionali rispetto alla governance globale voluta dai mercati, che come abbiamo visto viene accettata senza problemi dalla sinistra, viene mal digerita da buona parte della destra, che appare maggiormente legata sul piano ideale al capitalismo industriale di tipo otto-novecentesco, spodestato sul finire del secolo scorso dall’ascesa del capitalismo finanziario e del settore tecnologico.
Le rapide trasformazioni connesse al dilagare della società globalizzata e digitalizzata e l’aggressività della Sinistra woke e cosmopolita nel cavalcare l’onda del cambiamento hanno creato inoltre un crescente malumore all’interno delle destre occidentali.
Negli USA le componenti giovanili del mondo conservatore hanno reagito con la nascita della subcultura alt-right, la “destra alternativa” capace di utilizzare con sbalorditiva efficacia gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia per diffondere le proprie idee attraverso Internet. Accusata da più parti di essere in realtà espressione dell’estrema destra, l’alt-right ha conquistato terreno nella lotta per il predominio del mondo digitale, fungendo da perfetto contraltare dell’ideologia woke e del politicamente corretto dominanti a sinistra.
L’alt-right ha svolto un ruolo anche nell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti (2016), esaltando gli aspetti del suo programma più vicini al sentire della sua comunità: il protezionismo, espresso sia con una politica di dazi sulle importazioni sia con il rimpatrio di numerosi stabilimenti industriali; la politica di distensione verso la Russia di Putin, considerata affine culturalmente; l’ostilità verso la “Cina comunista” e non ultima la dura lotta all’immigrazione clandestina, considerata una minaccia alla sicurezza e alla pace sociale, un elemento quest’ultimo che accomuna tutte le destre contemporanee occidentali.
In Europa, la nuova ondata conservatrice viene incarnata soprattutto da Viktor Orban, primo ministro ungherese, che porta avanti da sempre una linea scettica nei confronti della UE – modellata sull’ordoliberismo dell’altra conservatrice Angela Merkel – e che ha lanciato nel luglio 2024 il gruppo dell’Europarlamento Patrioti per l’Europa, di orientamento nazionalconservatore. I Patrioti porteranno avanti le battaglie identitarie della destra sovranista, come hanno fatto capire nella conferenza stampa di presentazione del gruppo i suoi vice-presidenti: linea dura sull’immigrazione, critica ai provvedimenti del Green Deal e difesa dei poteri degli Stati membri, compreso il diritto di veto.
Un altro elemento che accomuna i gruppi della piramide conservatrice è il filo-sionismo. Nonostante gli orrori compiuti da Israele in Palestina, le destre occidentali sono da sempre compatte a sostegno di Tel Aviv.
In alcuni casi non è esagerato parlare di un supporto dato non tanto per motivi culturali o economici, quanto per motivi religiosi.
I cristiani evangelici costituiscono infatti uno dei pilastri dell’elettorato di Trump, così come fu anche per un altro noto presidente conservatore, Bolsonaro in Brasile.
Gli evangelici credono che il ritorno degli ebrei in Terra santa, e in particolare la presa di Gerusalemme da parte loro, rappresenti il compimento del piano divino, che prevederebbe secondo la loro interpretazione la seconda venuta di Cristo. Come spesso capita, la politica internazionale nasconde trame più complesse di quelle che si possono vedere in superficie, e che si fondano su elementi ben diversi da quelli della mera ragion di Stato.