Aleksander Dugin è un noto filosofo russo, dipinto spesso in Occidente come il pericoloso “ideologo di Putin”, teorico dell’eurasiatismo che unirebbe l’Europa e l’Asia attraverso il decisivo ruolo di ponte storico-geografico (oltreché spirituale) giocato dalla Russia. 

Dugin salì per la prima volta agli onori delle cronache nel corso degli anni ‘90, nel caos della Russia post-sovietica segnata dalle politiche economiche neoliberiste introdotte dal presidente Eltsin per conto del grande capitale internazionale. 

In quel clima elettrico, ma anche culturalmente stimolante, il pensatore russo incontrò Eduard Limonov, scrittore e agitatore politico, e insieme fondarono il movimento nazionalbolscevico, che riuniva al suo interno elementi di destra e di sinistra, spesso in modo provocatorio e più legato all’azione controculturale che politica. 

Dugin si allontanò dal mondo del nazionalbolscevismo intorno ai primi anni 2000, ampliando la sua ricerca filosofica anche a temi spirituali e tradizionali. 

Nel periodo del governo gialloverde (2018/2019) fu uno dei maggiori sostenitori stranieri dell’esperienza grillino-leghista e più in generale dell’ondata “populista” che attraversava l’Italia e l’Europa occidentale.

Successiva all’esperienza nazionalbolscevica è la formulazione della  sua Quarta Teoria Politica, che trattiamo in questo articolo. 

 

L’idea di fondo di Dugin è che il mondo attuale, attraversato dalla sovrapposizione di diversi livelli di sviluppo e dallo scontro tra diversi modelli di civiltà, abbia bisogno di una nuova teoria politica in grado di interpretare nella maniera migliore le sfide che attendono l’umanità, nel quadro di un ritrovato multipolarismo tra potenze. 

Il filosofo russo analizza i tre modelli politici dominanti nel mondo moderno – liberalismo, socialismo e nazionalismo – e individua gli elementi che li caratterizzano che possono fungere da base per l’elaborazione di una nuova teoria politica, oltre a quelli che invece vanno rigettati. 

Le tre ideologie vanno intese in modo abbastanza generico, secondo i principi di base, senza tenere conto delle varie correnti sviluppatesi al loro interno nel corso del tempo. 

 

Del liberalismo Dugin conserva il principio fondamentale, quello della libertà, intesa come facoltà dell’uomo di pensare, esprimersi e agire secondo la propria volontà, senza vincoli e costrizioni da parte di enti terzi. 

Passando al socialismo, Dugin osserva che la ricerca della giustizia sociale rimane un paradigma fondamentale. 

Riecheggiano, per una imprevedibile coincidenza della Storia, le parole di Sandro Pertini, che in un celebre discorso alla Camera nel 1970 affermò: non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà.

Secondo Pertini, infatti, un uomo immerso in una condizione di miseria, costretto a lavori saltuari o a mendicare, incapace di sostenere la propria famiglia, non può ritenersi davvero libero. 

Dal nazionalismo Dugin prende in prestito il senso dello Stato. Per il filosofo russo, infatti, è importante che lo Stato mantenga un ruolo dominante, capace di dirigere efficacemente la comunità nazionale. 

 

Le tre teorie politiche del passato possiedono anche degli elementi sgraditi, che vanno rigettati senza esitazione. Il liberalismo ha portato alle storture sociali ed economiche tipiche del capitalismo, il socialismo alla diffusione del materialismo e alla negazione del principio spirituale, il nazionalismo alla nascita di regimi autoritari, razzisti e violenti. 

 

Al netto degli aspetti prettamente spirituali del suo pensiero e del suo sostegno all’eurasiatismo, Aleksander Dugin con la Quarta Teoria Politica ci suggerisce una strada nuova ma che per certi versi appare già inscritta nel nostro DNA politico – tanto nella Carta costituzionale del ‘48 quanto nella migliore tradizione politica italiana, di ogni colore – che porta a mescolare armoniosamente la tutela delle libertà individuali con la strenua ricerca della giustizia sociale, il tutto garantito e sostenuto da uno Stato partecipe della vita della comunità nazionale, non nelle vesti del padre-padrone o del “regolatore del traffico” dei grandi capitali internazionali, ma per offrire ai suoi cittadini tutti gli strumenti atti a garantire il proprio libero sviluppo.

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