di Marco Martini

Il recente caso del boicottaggio dello stand di Passaggio al Bosco alla fiera “Più Libri Più Liberi” di Roma – con l’intervento esplicito di sigle militanti e l’imbarazzante acquiescenza degli organizzatori – va letto come un segnale di quanto sta montando, ormai da mesi, nel “campo largo” e alla sua sinistra. È in corso d’opera una saldatura ormai evidente tra sinistra istituzionale e sinistra radicale, unite da un antifascismo rituale e da un sostegno alla causa palestinese usato come leva contro il governo, più che come reale convinzione geopolitica o ideale umanitario. 

Si assiste insomma alla formazione di un fronte che condivide parole d’ordine ma non un progetto. L’obiettivo comune è “cacciare Meloni”; eppure, dietro questo obiettivo, non esiste un’alternativa sistemica. La sinistra mainstream continua a costruire la propria identità sulle colonne portanti del sistema dominante: l’ambientalismo cosmetico – fatto di slogan e di progetti assurdi come l’eliminazione dei motori termici entro il 2035 – e un europeismo fideistico, incapace di interrogarsi criticamente su temi fondamentali come sovranità economica, rapporti di dipendenza energetica, o politiche industriali autonome.

Su questi e altri temi, con ogni probabilità, la sinistra è destinata a dividersi nuovamente, poiché la tensione tra gruppi radicali, fortemente ideologici, e altri votati all’obbedienza tecnocratica rimane irrisolta.

Sul fronte opposto, la destra italiana vive di riflesso, risultando totalmente allineata alle posizioni dei repubblicani americani,  come se ogni linea economica, culturale e geopolitica dovesse per forza essere importata dagli Stati Uniti di Donald Trump.  Il centrodestra governa stando ben attento a non disturbare i poteri sovranazionali dominanti – finanziari, militari ed euro-atlantici – accettando quell’idea di sovranità limitata che, in teoria, dovrebbe voler superare, tenuto conto delle posizioni di partenza di buona parte dei soggetti che compongono la maggioranza.

Prendiamo a titolo di esempio il Piano Mattei, il quale potrebbe senz’altro essere una buona intuizione: riportare l’Italia al centro nello scacchiere mediterraneo, rilanciando progetti di cooperazione con i Paesi dell’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa). Senza un reale potere negoziale, senza autonomia energetica e industriale, rimane però un’aspirazione fragile, poco più di mero marketing geopolitico.

Siamo dunque davanti a due poli che recitano una parte. La sinistra recita il ruolo della resistenza morale; la destra quello dell’illusione sovranista. Sono entrambi però attori di un copione scritto altrove: i primi intrappolati dalla narrazione  del capitalismo progressista e globalista, i secondi subordinati agli orientamenti politico-culturali d’oltreoceano.

Lo scenario a prima vista appare sconfortante; eppure uno spazio di manovra, per quanto piccolo, esiste. Al Paese serve una visione nuova, capace di coniugare difesa della sovranità nazionale e tutela sociale, salvaguardia delle identità culturali e delle tradizioni e giustizia economica. Un sovranismo socialista e umanista, che rimetta al centro la dignità della persona, l’indipendenza strategica, l’orgoglio delle proprie radici, la tutela dei beni comuni, l’emancipazione delle classi svantaggiate.

Non è questione di nostalgia identitaria. Si tratta piuttosto di uscire dalle caricature: la sinistra moralista e globalista senza popolo, la destra patriottica ma dipendente da poteri esterni, entrambe convinte di interpretare una parte inevitabile. Forse è giunto il momento di pretendere dalla politica un copione totalmente nuovo.

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