Il bipolarismo, in Italia, si è imposto sulla scena a partire dai primi anni ‘90, a seguito del collasso dei partiti tradizionali della Prima Repubblica dovuto alle inchieste giudiziarie di “Mani Pulite”. Dopo una brevissima fase di assestamento nella quale erano presenti tre poli – centrodestra, centro e centrosinistra – il sistema partitico si è configurato in un bipolarismo “perfetto”, composto dai soli centrodestra e centrosinistra, accentuato per giunta sul finire degli anni 2000 dalla nascita del PD e del PdL, scaturiti dalla fusione dei maggiori partiti delle rispettive coalizioni.
Questa configurazione della scena politica italiana, che in seguito ha subito qualche ulteriore modifica (vedi la nascita di Fratelli d’Italia dalla scissione del PdL), ha mostrato fin da subito diverse criticità, sia per quanto riguarda la reale rappresentanza democratica, sia per il suo impatto culturale e sociale all’interno del Paese. Queste problematiche peraltro si intrecciano, e non possono essere valutate separatamente.
Lo si nota da subito analizzando i dati elettorali recenti: negli ultimi anni la partecipazione dei cittadini alla vita politica, espressa nel modo più semplice e immediato tramite il voto, è calata in modo drastico. Le ultime elezioni regionali – le quali per loro natura dovrebbero coinvolgere particolarmente i cittadini sul territorio – hanno visto una partecipazione modesta in Liguria (ottobre 2024, 46% di affluenza), Emilia-Romagna (novembre 2024, 46%), Calabria (ottobre 2025, 43%) e Toscana (ottobre 2025, 47%). Interessante il dato delle Marche, dove si è votato nel settembre 2025: a fronte di un 50% di affluenza, si registra un calo di ben 9 punti percentuali rispetto al 2020, quando aveva votato il 59% degli aventi diritto.

L’aumento dell’indifferenza degli italiani nei confronti della politica è facilmente riscontrabile sia dai sondaggi che dall’esperienza quotidiana nelle piazze, nei bar e nelle reti sociali, evidenziando una tendenza di ampio respiro che si riflette inevitabilmente sulle urne.
L’esistenza di due grossi poli politici “cannibali”, che monopolizzano ogni spazio comunicativo e giocano sulle divisioni interne alla società (politiche, sociali, culturali) per “fidelizzare” la propria area di riferimento, ha creato un clima insostenibile per gran parte della popolazione.
I cittadini chiedono risposte a problemi che i due poli non sembrano interessati a risolvere per davvero. Prendiamo a titolo di esempio il tema della sicurezza nei centri urbani, cavalcato ormai da decenni da alcuni partiti della coalizione di centrodestra (Lega, Fratelli d’Italia) che chiedono pugno di ferro verso chi delinque e restrizioni ai flussi migratori.
La verità è che il problema rimane sempre uguale a sé stesso a prescindere che le forze in questione siano al governo o all’opposizione: dopo tre anni di governo di un centrodestra teoricamente spostato a destra – con FdI di gran lunga primo partito – la percezione di sicurezza dei cittadini non è affatto migliorata, anzi le cronache ci dipingono spesso scenari urbani intrisi di crescente violenza e degrado. Allo stesso tempo, l’approccio minimalista al problema adottato dal centrosinistra – il quale tende a favorire vere o presunte politiche di integrazione – si è rivelato a più riprese fallimentare in realtà complesse come quelle metropolitane di Roma, Milano e in altre grandi città.
La soluzione dei problemi, tuttavia, non appare la priorità effettiva di chi governa: ciò che conta davvero per loro è portare avanti una narrazione, un discorso pubblico basato più su promesse di matrice ideologica che su fatti concreti. Aggiungiamo al quadro delineato sopra, già abbastanza sconfortante, la grossa delusione rappresentata dall’epopea del Movimento Cinque Stelle, il quale nello scorso decennio si proponeva come realtà estranea e ostile alla casta dei partiti, ammaliando tantissimi italiani.
Con l’ascesa del M5S tornò quindi in auge l’idea di un superamento del bipolarismo, per mezzo di un nuovo soggetto politico capace di imporsi al di fuori di uno schema “a due” pieno di contraddizioni e inefficienze. Lo spirito di rinnovamento portato avanti dal Movimento sedusse milioni di elettori, fino al travolgente 33% raccolto alle elezioni politiche del 2018 che fu, a conti fatti, l’apogeo del partito di Grillo e Casaleggio.
Il successivo ingresso dei “grillini” nell’alveo della politica mainstream attraverso l’adesione al campo largo del centrosinistra ha posto la parola fine a quell’esperienza, e ha ricacciato indietro l’aspirazione di milioni di italiani a essere rappresentati da una forza politica autonoma rispetto ai due poli principali, gettandoli di fatto tra le braccia dell’astensionismo e dell’antipolitica.
E’ lecito chiedersi se, dopo la bruciante batosta delle giravolte pentastellate – ricordiamo anche il sostegno a Draghi nel periodo pandemico – ci sia ancora spazio per una proposta politica genuinamente alternativa, incentrata su una visione del mondo diversa e antitetica rispetto a quella del mainstream. La nostra risposta è che quello spazio oggi esiste ed ha un potenziale enorme, ma non viene debitamente rappresentato perché, fino ad ora, nessuna forza politica emergente – men che meno quelle del cosiddetto “dissenso” – è stata in grado di mettere in ordine le proprie idee, inserendole in un quadro ideologico preciso e funzionale.
Si tratta di uno spazio che esiste nel Paese reale, tra i cittadini, e che fonde l’idea di uno Stato partecipe della vita della nostra comunità – soprattutto in ambito economico e sociale – con la tutela delle libertà individuali e dei diritti garantiti dalla Costituzione. Esiste un’Italia, oggi alquanto sfiduciata e altrettanto sfilacciata, che non si riconosce nelle politiche woke amate dal centrosinistra così come nei rigurgiti razzistoidi di alcune componenti del centrodestra, e che vorrebbe vivere in una società equilibrata e giusta, della quale essere protagonisti e non delle semplici comparse.

Abbiamo individuato quattro punti cardinali – sintesi dell’elaborazione politica delle forze più mature del mondo antisistema – per una proposta realmente vicina alle esigenze della società contemporanea nel suo complesso, al di là delle divisioni di facciata.
- Sovranità e multipolarismo, ossia la promozione di un mondo retto su equilibri diversi, nel quale ogni popolo abbia diritto a emanciparsi dal bisogno e a svilupparsi politicamente ed economicamente senza la pelosa “supervisione” dell’Occidente. Il pieno recupero della sovranità da parte dello Stato, in questo nuovo contesto, diventa una condizione pressoché necessaria.
- Famiglia e protezione sociale, ovvero il rilancio di politiche sociali indirizzate alla promozione e alla tutela della famiglia, nucleo fondamentale della società, troppo spesso bistrattata e emarginata da un sistema neoliberale che sembra preferirle individui soli, atomizzati, in completa balia del mercato, senza reti di protezione immediata. Stato sociale e welfare a loro volta dovranno essere rafforzati.
- Stato attore dell’economia, di nuovo protagonista attivo del settore economico sia attraverso l’adozione di una politica economica capace di imprimere una forte direzione di sviluppo, sia con l’intervento diretto tramite la ricostituzione di imprese di Stato, in particolare nei settori strategici.
- Diritti individuali e libertà economica, tra i quali la libertà di scelta terapeutica (rifiuto di obbligo vaccinale e TSO), la libertà di parola e di pensiero, con il contrasto a qualsiasi forma di censura e la promozione del pensiero critico come migliore antidoto contro il pensiero unico imposto dal mainstream. Difesa del tessuto della piccola media impresa dalle speculazioni finanziarie e dalla concorrenza sleale da parte delle multinazionali.
Abbiamo chiamato questo insieme di idee e valori centro radicale, in quanto punto di confluenza di elementi propri di diverse tradizioni politiche, dal liberalismo classico al socialismo, dal comunitarismo al sovranismo, fino al pensiero No Global. L’aggettivo “radicale” si è reso indispensabile per distinguerlo in modo netto dal centro comunemente (e tristemente) noto, quello degli atlantisti neoliberali come Italia Viva, Azione e Più Europa, ovvero i guardiani dello status quo, rispetto ai quali ci dichiariamo antitetici.
Non si tratta di un’operazione di ingegneria politica, fredda e impersonale, ma dell’individuazione di quella che, a buona ragione, possiamo definire la coscienza collettiva del popolo italiano. Proponiamo una sistematizzazione di principi che ci caratterizzano come nazione e che non trovano un’adeguata rappresentanza politica, proprio quando ce ne sarebbe più bisogno.